L’origine della moderna coltivazione dei bixi nella
Venetia
risalirebbe a Lumignan(o) introdotta nell’anno Mille dai monaci
Benedettini, i quali diedero inizio alla bonifica dei terreni posti ai
piedi dei colli Berici ed Euganei. In quest’area il dolce legume
trovò un habitat ideale, dove l’esposizione al sole,
grazie al calore trattenuto dalle rocce, permetteva una produzione
eccezionalmente precoce, primizia tra le primizie. Alle favorevoli
condizioni climatiche, si aggiunse poi l’abilità dei
coltivatori, che nei secoli seppero selezionare un prodotto di
eccezionale qualità dal sapore prelibato.
Ai tempi della Serenissima, la minestra di Rixi e Bixi era la minestra
del Doge, definita anche magnar da Doxe. La si serviva nei banchetti
solenni, e in occasione delle più grandi festività
nazionali.
Le memorie settecentesche del Lamberti recano a questo proposito un passaggio interessante:
“…tutti
i conviti del Doge erano serviti con la maggior squisitezza e per la maestria dei cuochi e per la squisitezza delle vivande… Pel
giorno di San Marco procuravano i piselli a Genova non trovandosene
negli orti dell’Estuario (isole e litorali)…” .
Questo prova che, il giorno di San Marco, a Sua Serenità veniva
servita solennemente la minestra nazionale di Risi e Bixi.
L’attaccamento dei veneziani a questa prelibata vivanda era tale,
prima che gli sconvolgimenti culturali acceleratesi dopo la seconda
guerra mondiale, non affievolissero anche questa consuetudine, che i
veneziani trovandosi fuori di Venezia, facevano l’impossibile per
procurarsela.
E’ tipico a tale proposito il caso di quel vecchio patrizio
veneziano che, recatosi a Parigi, ed entrato in una trattoria,
ordinò al cameriere che gli si presentava ossequioso:
Rixi e Bixi.
Pardon monsieur; je ne comprends pas.
Go dito Rixi e Bixi
Mais, monsieur; je ne comprend pas.
Ma come feu a no saver cosa che xe i Rixi e Bixi?
Gesto desolato del cameriere. Allora il nobilomo, seccato, si
alzò da tavola, andò in cucina e non tornò al suo
posto se prima non vi ebbe trovato del riso e dei piselli e non ebbe
spiegato al cuoco, a furia di segni, l’uso che doveva fare delle
preziose derrate, per preparargli l’agognata minestra.
La mancanza della minestra di piselli negli alberghi parigini fu
notata, con rammarico, anche dal pittore veneziano Giacomo Favretto
(1849-1887), il quale, di ritorno da un suo viaggio a Parigi,
interrogato sulle sue impressioni, rispose con gesto di delusione:
No i ga gnanca Rixi e Bixi!
Generalmente in Veneto le minestre in brodo si usano fare dense
(fise),
ed i risotti, invece, piuttosto fluidi, cosicchè il divario di
densità tra le due specie di pietanze non è tanto grande.
Naturalmente questa regola va intesa cum grano salis, e il riso non
deve mai arrivare a quello stato di disfacimento, che si suole chiamare
venezianamente i “
rixi longhi”.
Non deve essere seguita la massima che l’avarizia e
l’abituale scontrosità suggerivano al Goldoniano Sior
Todaro Brontolon:
"Voio
dixnar a l’ora solita. Ma i rixi i se mete suxo a bonora, a
ciò che i cresa, a ciò che i fasa fasion. Son stà
a Fiorensa, e go inparà ła come se cuxina i rixi. I fa bojer tre
ore, mexa lira de rixi, ke basta par oto o nove persone".
"Benisimo, ła sarà servida"- risponde il servo Gregorio.
Ma, a parte, soggiunge: "Ma par mi me ne farò na pignateła a modo mio…".
“Grasie Peseja i to bixi i xe mejo de i to baxi” è
il motto che da sempre accompagna la manifestazione, in questi giorni
sta terminando la 40^ festa. La tradizione attribuisce la frase a un
non meglio identificato Doge veneziano e rappresenta lo slogan di
presentazione e promozione del prodotto. Altre importanti feste dei
bixi si effettuano a Lumignano (VI), a Colognola ai Colli (VR), dove
quest’anno si realizza la 51^ Sagra dei Bisi, a Baone (PD) dove,
invece, si fa la 11^ Festa dei Bisi.